No time to play

No time to play music, no time to play game…
Le casse spente, giusto il tempo di scrivere due righe tra gli esercizi sull’idrolizzazione dell’acqua e la doccia che mi attende prima di uscire.
Ho l’acqua alla gola, nel vero senso della parola, o quasi…
Mi concedo giusto due minuti, sperando di non sentire il “tu non vieni?” incombente.
E sono ancora qui, sempre in ritardo.
Non riesco nemmeno a pensare, talvolta, distratto dal tempo che scorre; come si può pensare in fretta?
Diamine, non ho tempo per rispondere!

The Waiting Room

Ora sto aspettando.
Il momento giusto per iniziare a fare qualcosa di cui davvero non ho voglia, ma che tuttavia mi interessa.
Mi spiego meglio con una frase di Henri De Montherlant.

La pigrizia è il rifiuto di fare non soltanto ciò che annoia, ma anche quella moltitudine di atti che senza essere, a rigore, noiosi, sono tutti inutili.

Ebbene, questo esame non mi annoia, dico davvero, molto meno della settimana enigmistica.
Eppure ho un ripudio, come se avessi la sensazione che c’è di meglio da fare.
Ma davvero è così inutile, ne siamo sicuri?
Per quanto mi riguarda sì, non riesco più ad afferrare l’utilità finalistica, faccio le cose fini a sé stesse, da buon incosciente.
Il problema è iniziare, poi ne traggo addirittura diletto e soddisfazione… roba da matti.

Ora sono qui, in attesa di trovare quella voglia che non arriverà mai. E più passa il tempo, più tutto diventa così inutile.
Fortunatamente, questa volta so cosa fare.
Sicuramente non compatirmi, ma cambiare semplicemente canzone, una che lo faccia al posto mio.

I’m getting tired of fighting.
(…)
Here we are in the waiting room of the world.

Dlin dlon! Il treno per i ritardatari è appena partito, affrettarsi per prenderlo al volo, grazie.

We have forgotten

Molto bene. Tutto è pronto. Sì, son passati tre giorni e sono in ritardo.

Ma a volte arrivare in ritardo è necessario. Ed è solo un caso, o semplicemente il destino, o semplicemente che è festa e non ho lezione, che oggi sia il primo novembre. Di nuovo.

Bene, probabilmente questo demiurgo malvagio si prende gioco di me (ehm… parliamone), ma intanto ho riscoperto la poesia, e non parlo della mia, ma di un album che forse avevo dimenticato e che ha sicuramente influito sulle mie produzioni e non solo. Tutto iniziò quel giorno dell’ormai lontano (diamine) 1997, a Londra all’HMV…

E iniziò così…Immagine di copertina dell'album Sixpence None The Richer (1997)

Dreams, inconsistent angel things.
Horses bred with star-laced wings.
But it’s so hard to make them fly, fly, fly.

A questo punto non mi resta che inserire quel cd da 13 sterline e 99 centesimi nel lettore e vedere se dopo dieci anni suona ancora le stesse melodie, e se Leigh canta ancora le stesse strofe…
Perché credo sia giusto ricominciare dall’inizio…

In ritardo

A volte è necessario essere sobri, smettendo di fuggire innanzi a una realtà che non ci piace, fermando una risata che è un compianto per un’altra realtà che non è stata.

Un ubriaco goliàrdico, in preda ad una schizofrenìa etìlica tra lacrime e risate, rutti e capogiri, noncurante del locale che gli crolla attorno a sé.
Egoismo e menefreghismo, un mix micidiale, un cocktail dialettico.

Ma è tardi… lo vedi che è tardi?
Tutto si sgretola, tutto crolla e continua a crollare imperterrito.
Sull’orlo del baratro è necessario essere sobri per non perdere l’equilibrio.
E allora è giusto smettere di ridere, anzi, non c’è nulla da ridere.

Ma lo specchio è in ritardo, continua a ridere quell’immagine riflessa, perché è tardi: lo vedi che è tardi?
Perdi tempo davanti allo specchio; lascialo lì, imprigionato nel cristallo, il nichilismo.
La vita è lunga, ma non così lunga, ed è sempre tardi per compatirsi.