Rainroad

Non aveva importanza, nulla, davvero…
Tutto quello che gli stava intorno, tutto quello che era passato e quello che doveva venire.
Gli era entrata dentro, quell’immagine, un po’ come quando una nuvola decide di cader giù, smetter di disegnare il cielo con forme candide e morbide, e venir giù sulla tua pelle, sulle tue labbra, sul tuo viso…
Una fresca e delicata pioggerellina d’estate, un piccolo sorriso che si strascicava dietro tutto il resto, si lasciava via tutto quello che era passato e quello che doveva ancora venire.
Diluviava, lì dentro.
Veniva giù il cielo.
Ed era ogni volta così.
Fuori c’era il sole e faceva caldo e morbide nuvole se ne stavano lì discrete, senza rubare spazio al sole.
E lui torturava con due dita l’angolo del foglio, cercandovi chissà cosa, e con l’altra scriveva e scriveva e continuava a scrivere mentre la gente seduta intorno si domandava cosa stesse scrivendo, cosa mai ci fosse da scrivere, con un libro non letto davanti, il sole cocente fuori e un treno che parte troppo presto – e non arriva mai – sotto il culo.
Ma là dentro pioveva. Sul foglio parole, immagini, istanti colti di sfuggita, momenti a raffica, uno dietro l’altro, e la stazione che ora si muoveva intorno al binario uno – o forse era l’unico – (one or maybe the one…).
Non aveva importanza, nulla, davvero.
La stazione che gli stava intorno e tutto il resto, tutto quello che era passato e che doveva ancora venire.
Un unico, lunghissimo binario.
E il mondo intorno.
E il sole addosso.
E lui, bagnato da pioggia invisibile – o era sudore – e un foglio imbrattato (di parole) d’inchiostro, immagini, istanti, momenti, a strascico.
E lì, lì dentro, sulla punta della sua penna – nei suoi occhi, mentre scrivevano – un sorriso.
E’ così semplice, uno potrebbe pensare, un ragazzo che scrive sotto il sole che gli batte di traverso sul braccio, e gli abbronza la pelle, e gli fa ombra sul foglio.
E’ così semplice, si potrebbe dire – quasi banale – il mondo che scivola via, alberi veloci e nuvole lente – ma morbide – colline immobili che giocano a nascondino con la tua ignoranza.
E’ banale che (io) veda solo un sorriso.
E, nonostante tutto, ti accorgi che il mondo – il territorio – è un po’ più grande di te, o almeno, può diventarlo se ti muovi, se ti sposti e lo guardi.
Anche pensando ad altro – ad un sorriso – ma non ti limiti a vederlo, lo guardi.
Vedi, guardi la pelle, le labbra, il viso, sotto la pioggia che lo dipinge di grazia, una goccia vi si poggia leggera e ne sfiora la guancia, come l’avesse fatto apposta a finire lì, a ritrovare, cadendo, la morbidezza… come una lacrima che non c’è.
Scivola, insieme al mondo, sul suo viso come un dito d’un amante disegna, mimando i probabili movimenti del Creatore, come gli è stato insegnato – da chi? – giù fino alle labbra, più morbide, immobili nella sua mente e nei suoi occhi… e i suoi occhi… e tutto il resto… scorre via… i suoi occhi… rubano parole…
I suoi occhi, velati da una involontaria tristezza, arrossati da lacrime invisibili, fresche gocce di pioggia, parole d’inchiostro…
Pioveva, lì dentro. Sul suo viso, piccole macchie d’inchiostro disegnavano immagini, istanti, momenti, nella sua mente.
Un velo di trucco, appena accennato, sbavava via sotto la pioggia…
E non smetteva. Di scrivere. Di scorrere.
(Di piovere.)
Scorreva il mondo, il tempo, la goccia sul viso, quell’immagine nella sua mente, la penna sul foglio…

Rain

“Il sole sta scendendo, ormai, e sul secondo treno fa più fresco, “freddo”, avrebbe detto quella ragazzetta griffata troppo cresciuta che aveva sbagliato classe quando ha fatto il biglietto, decidendo così, suo malgrado, di rompere il cazzo alle persone normali che viaggiano in seconda, perché per lei, e solo per lei, faceva “troppo caldo”.
Il sole non fa più ombra, ma illumina dietro una nuvola sporca…
Un libro finito, durato un viaggio, breve, in fondo, gradevole, alla fine, un po’ come sono tutte le cose alla fine, quando finiscono, non vuoi che finiscano, vorresti assaggiarle ancora, un’ultima volta, piccolo ingordo, lo sai benissimo…
Hai paura di perderle. Per sempre.
E’ egoismo, in fondo.
Nella vita – nel mondo – vanno fatte delle scelte.
Segliere una donna, scegliersi qualcosa da fare, dove mangiare, cosa mangiare, dove dormire… questa è libertà.
Poter scegliere.
E non è poi così facile essere liberi.
Bisogna scegliere. Ci vuole coraggio.
Io, semplicemente, ho scelto di non avere paura.”

Spacetime

Quando si accorse di stare guardando l’orologio per la seconda volta nello stesso minuto, capì di esser nervoso.
“A quest’ora dovrebbe essere arrivato…”
E’ tutto un appuntamento, la vita: l’ora e la data dell’esame scritto, della visita medica, del colloquio di lavoro, dell’arrivo di un treno.
Momenti precisi e discreti in grado di cambiare tutti gli altri che devono ancora venire, dito d’un bambino che disegna tratti imprevedibili sul palmo della nostra mano, solchi insicuri da far leggere al tempo gitano.
E poi rimangon solo due punti: l’inizio e la fine, l’asterisco e la croce, e in mezzo la vita.
Non c’è spazio per la vita, alla fine.
Ti scrivon giusto quanto sei nato per permetterti di fare il calcolo, una semplice sottrazione per capire quanto tempo ci hai messo a morire.
Il momento in cui si poggia il polpastrello del bambino sulla tua mano, come la testina di un vecchio giradischi che inizia a suonare sul vinile che danza e gira impazzito.
E la musica cresce, varia, muta, piange e sorride, fondamentalmente.
Tutti punti, appuntati sul taccuino con ulteriori tratti, meno insicuri, presi di fretta. Sì, di fretta.
Un’altra occhiata all’orologio, senza volerlo, le sei e venti sul taccuino e un punto. “6,20.”.
Dan richiuse il giornale e lo piegò in due, per poi avviarsi verso la stazione.
“Saranno già lì nei dintorni, quando arriverò…”
Perché dopo un punto ce n’è un altro e un altro ancora e in mezzo tanti altri, non puoi contarli.
E’ impossibile arrivare in orario a un appuntamento, sempre un po’ prima o un po’ dopo.
Come il rumore di un applauso, non è alternato, non è coordinato, è qualcosa a sé stante, non sono tante mani che battono insieme, è un applauso, un suono che cambia se tutti si alzano in piedi, se battono più forte, più veloce… eppure nessuno dirige l’orchestra.
E poi quando finisce l’applauso? C’e’ sempre qualcuno che continua a batter le mani un po’ dopo, da solo…
Distratta mente che cammina sulla strada senza fretta per arrivare un po’ dopo.

“Cosa ci faccio qui?”
Treni che vanno e vengono, lunghissimi segmenti di metallo disegnati sulla terra, che vanno da un punto all’altro del mondo.
Dan si riavviò i capelli guardandosi intorno, veniva poco in stazione, eppure lì si sentiva a suo agio.
Ultime chiamate, annunci di ritardi, tutto era così famigliare, eppure non lo coinvolgeva, non si curava nemmeno di quella voce annoiata, amplificata malamente.
“Ecco, il binario è questo… Sono già andati via.”
C’era qualcosa di strano, lì.
Per un attimo si soffermò a guardare oltre il marciapiede: v’erano due linee parallele, là sotto, e il treno cos’era?
“Una per andare e una per venire… E il treno è un punto, che ti segue, che ti porta via con sé, che rende continuo il discreto scorrere del tempo sull’orologio.”
Per questo un viaggio non finisce mai…
Dan guardò ancora una volta l’orologio. Era decisamente tardi, ormai.
Li avrebbe incontrati più tardi ancora, ma in anticipo a un altro appuntamento: quello di cena.

Love

“C’è un tempo per i primi sospiri tesi insicuri,
finchè l’imbarazzo va via,
col sincronismo dei movimenti, coi gesti lenti
conosciuti solo in teoria,
come nelle favole,
fin sopra alle nuvole,
convinti che quell’istante durerà
da lì all’eternità…
Lo strano percorso
di ognuno di noi
che neanche un grande libro un grande film
potrebbero descrivere mai
per quanto è complicato
e imprevedibile
per quanto in un secondo tutto può cambiare
niente resta com’è.

(…)

C’è un tempo per qualcosa sul viso, come un sorriso
che non c’era ieri e oggi c’è
sembrava ormai lontano e distante, perso per sempre,
invece è ritornato con te.”

Silence

Sai, la gente è sola, come può lei si consola
per non far sì che la mia mente
si perda in congetture, in paure
inutilmente e poi per niente.
tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo !
Un punto, sai, che non ruota mai intorno a me
un sole che splende per me soltanto
come un diamante in mezzo al cuore.


Rosa Bianca

Chi sei tu
che le parole
togli al poeta?

Quando questi tace
non è perché
non ha nulla da dire…

Solamente vorrebbe
usare le labbra
in altro modo.

Interludio

Foto istantanee di una stazione in bianco e nero, riflessi di volti scivolano via sulle squame metalliche dei rumorosi serpenti e due vite sospese tra un via e un vai che improvvisamente rallenta e si ferma e sofferma in quegli occhi che a vicenda non riflettono null’altro.

Il pensiero di lui corre e si mescola alla realtà, al passato e al presente, in armonia col frastuono dei treni e della gente che corre per prenderli… O perderli… E’ solo questione di tempo…

Vorrei avere piu’ tempo, Dana…
Il tempo di spiegarti come sono andate le cose, il tempo di raccontarti ogni singolo istante che ho vissuto in questi anni… e ascoltare la stessa cosa da te.
E’ importante, credo, ma non c’e’ tempo, vorrei soltanto amarti ancora, com’era stato un tempo, ma non posso, capisci…
Io sono partito, lo sai, sono partito… non chiedermi perche’… non chiedermi perche’ son tornato. Non c’e’ tempo di spiegarti perche’…

Perche’ le persone cambiano.
Cambiano negli anni… inconsapevoli, arroganti, dicono il contrario… ma e’ cosi’: cambiano.
Adattano la propria vita agli altri, in modo egoista, dimenticandosi di chi gli stava intorno fino a un minuto prima.
Cambiano.
Cambia il colore delle mie lacrime, dopo un bicchiere di whiskey, lo capovolgo ormai vuoto e mi cade un’ultima goccia sul palmo… ma e’ diversa: e’ sempre stata cosi’.
E’ sempre stato cosi’: le persone cambiano davanti alla seducente offerta di una vita felice.
Mi rimane solo un sorriso, un riflesso sbiadito nel vetro, il volto della consapevolezza che cambiare e’ impossibile, quando gia’ sai che e’ solo una truffa.

Sono stanco.
Stanco di bere quell’ultima goccia, di aspettarla colare pigra giu’ dal cristallo, e cadere sul mio labbro ancora piu’ secco del bicchiere ormai vuoto.
Stanco di assaporare quel gusto familiare, almeno quanto il salato sapore delle lacrime, che hanno un altro colore, pero’ mutano, cadono e non bagnano.
Le lacrime, timide, si asciugano subito; la tristezza, debole, scompare sfuggente dal viso.
Rimane dentro.
Stanco di tenermela dentro insieme a un mare di gocce, diverse, che mutano… perche’ io non sono un bicchiere.

Sorridigli, Dana…

Ora lei sta lì, sulla porta… o è solo un sogno, e siamo ancora in stazione? Camminiamo via, in un silenzio inquietante più che imbarazzante… eppure non è un sogno e io non trovo le parole per interromperlo… ma lo fa lei.

Tutto si mescola…

“Dove sei stato?”
Può un sussurro soltanto lacerare le barriere che hai costruito in tanto tempo?
E’ un qualche fluido alchemico che non capisco bene, un dolce veleno che sbiadisce il mio sangue: è la sua voce o quello che dice?
Vorrei parlasse ancora, non voglio rispondere…
“Non voglio rispondere…”
“Ok…”
No! Quasi si offende, e tuttavia tace, mi tocca parlare.
“Se vuoi te lo dico…”
“Lo devi volere tu…”
“Io… Non lo so…”
“Non vuoi?”
“Tu cosa vuoi, Dana?”
Lei si ferma e mi guarda, un po’ contrariata… continua a fraintendere… e a tacere…
“Non fare così, parla…”
“Va bene, non insisterò… Ti va un caffé? In quel bar lo fanno buono.”
“Quello una volta non era pieno di delinquenti e di brutta gente?”
“Son cambiate molte cose, sai?”
E’ quello che dice, o tutto insieme, che mi entra dentro e mi schiaffeggia la mente, una madre inconsapevole del figlio patricida, che lo percuote per aver attraversato la strada da solo… Non posso far altro che chiudere gli occhi e assaporarne il dolore.
“Sono cambiate molte cose, sì…”
Per lo stesso motivo, in quel bar, non ci potrei comunque entrare…


Metamorfosi

Amarti m’affatica mi svuota dentro
Qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto
Amarti m’affatica mi da’ malinconia
Che vuoi farci è la vita
E’ la vita, la mia
Amami ancora fallo dolcemente
Un anno un mese un’ora perdutamente
Amarti mi consola le notti bianche
Qualcosa che riempie vecchie storie fumanti
Amarti mi consola mi da’ allegria
Che vuoi farci è la vita
E’ la vita, la mia
Amami ancora fallo dolcemente
Un anno un mese un’ora perdutamente
Amami ancora fallo dolcemente
Solo per un’ora perdutamente.

L’Albatros Bleu

“Le Poète est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.”

Broken Angel

Cosa c’è da dire ancora?
Ho i versi mozzati,
un coito interrotto,
un mezzo piacere.

E dovrei dormire ora…
Non ho più la forza
di volere il domani
vivendo il mattino.

Il tempo passa
e sono un gambero
che cammina all’indietro.

Un semplice inganno:
basterebbe girare
l’orologio al contrario.

Piove

Piove.

Sull’asfalto sporco
sul mio cappotto
sui miei capelli
sulle mie labbra.
Qualcuno mi dica
perché è salata la pioggia.
Angioletto non piangere:
si sporca la pioggia sulla città.

“puesto que de dos modos es la vida,
la palabra es un ala del silencio
el fuego tiene una mitad de frio”

Rain Night

Steso su un balcone guardo il porto
Sembra un cuore nero e morto
Che mi sputa una poesia

Nella quale il giorno in cui mi lancerò
E non mi prenderanno
Neanche tu mi prenderai
Io non tremo
E’ solo un pò di me che se ne va

Giù nella città, dove ogni strada sa
Condurre sino a te e io no
Bye bye, bye bye, bye bye, bye bye BOMBAY
Sai Mimì che la paura è una cicatrice
Che sigilla anche l’anima più dura

Non si può giocare con il cuore della gente
Se non sei un professionista, ma ho la cura
Io non tremo
E’ solo un pò di me che se ne va
E’ sporca la città
, tutto cercherà
Di condurre sino a te e io no
Bye bye, bye bye, bye bye, bye bye BOMBAY

Fading Away

III

III

“John…”
“Ehi…”
A volte un sorriso, dopo anni, è come un raggio di sole la mattina, che non si limita a entrarti nel petto, ma ti trapassa, s’infrange, rifrange, si riflette nell’anima e ti scalda.
A volte un sorriso, dopo anni, è come un abbraccio.
Sostienimi, Dana…

Già che sorridi, perché non abbracci?
Perché ti piace non comprometterti con un tocco di tatti diversi… il tuo e il suo.
E anche se sai che vorrebbe soltanto affondare il suo volto tra i tuoi capelli, lui no, tu no, sorridi soltanto.
Sorridigli, Dana…

Almeno quello, dopo anni, puoi farlo, puoi permettertelo.

Il treno riparte in un fracasso ritmato e poi silenzio.
Il binario è vuoto e tu e lui e in mezzo un sorriso.
Già che sorridi, perché non abbracci?
Vuoi lasciare qualcosa tra voi, un vuoto, il tempo?
Ma è spazio, Dana…
Non ha senso.
Eppure un minuto fa quel binario non era vuoto.
E un minuto prima ancora era vuoto.
E ora eccolo qua, John, di fronte a te, e tu che sorridi…

Non sai cosa dire e passa un altro minuto, così…
Aspettando il sole che sorge, si riflette sui binari, ti abbaglia e ti scalda.

Ma per John oggi è sorto un minuto prima.
E tu lo sai.
Trainstation
“Attimi irripetibili
tutto finisce lo so
ma non voglio partire, no
ancora no…”

Bao Growl

Strichinina
se è una bambina
avrà una vita
da cellula impazzita.

Come accarezzo la noia che fa
quando un capriccio diventa realtà.
Edda come vorrei…
Edda come vorrei…
Perché tutto questo volere
non diventa energia
e non ci spazza via…

Strichinina
se è una bambina
congelata
anima arrangiata.

Come accarezzo la noia che fa
quando un capriccio diventa realtà.
Edda come vorrei…
Edda come vorrei…
Perché tutto questo volere
non diventa energia
e non ci spazza via…

Kitten
pudorerivestedoloretravesteistantipassatidifantidannati

Sorridi

HiddenUna sola preghiera
ti lascio stasera.
Ho fuso il mio orologio
per farne un idolo
al tempo che spendo:
falsa Hathor straniera.
Una sola preghiera…
Sorridi ancora domani
se cammini o se cadi
poco importa: sorridi
come una preghiera.
Ti lascio stasera…
Un volto sorridente
tutto il mondo riveste
d’un gentile colore.
Una sola preghiera
ti lascio stasera:
un solo sorriso
disegno sul viso.


Credo sia molto importante credere negli altri prima che in qualsiasi cosa. Forse anche in sè stessi.
Alla fine è quella la vera fede: credere negli altri. Sono tangibili e al tempo stesso evanescenti.
Labili come te, in fondo neanche tanto diversi.
Egoisti? Beh, sì, immagino di sì.
Falsi, bugiardi, meschini, calcolatori… ma a me non me ne frega niente.
Se tu sorridi lo faccio anch’io. E non mi serve altro motivo.

Por aquella misma playa

Sweet Sir Galahad
came in through the window
in the night when
the moon was in the yard.
He took her hand in his
and shook the long hair
from his neck and he told her
she’d been working much too hard.
It was true that ever since the day
her crazy man had passed away
to the land of poet’s pride,
she laughed and talked alot
with new people on the block
but always at evening time she cried.

And here’s to the dawn of their days.

She moved her head
a little down on the bed
until it rested softly on his knee.
And there she dropped her smile
and there she sighed awhile,
and told him all the sadness
of those years that numbered three.
Well you know I think my fate’s belated
because of all the hours I waited
for the day when I’d no longer cry.
I get myself to work by eight
but oh, was I born too late,
and do you think I’ll fail
at every single thing I try?

And here’s to the dawn of their days.

He just put his arm around her
and that’s the way I found her
eight months later to the day.
The lines of a smile erased
the tear tracks upon her face,
a smile could linger, even stay.
Sweet Sir Galahad went down
with his gay bride of flowers,
the prince of the hours
of her lifetime.

And here’s to the dawn
of their days,
of their days.

Woman Alone

“Il mare cancella, di notte.
La marea nasconde. E’ come se non fosse mai passato nessuno.
E’ come se noi non fossimo mai esistiti.
Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui.”

Y cuanto màs la mar te las cancela…
Màs tienes gana de andar…